Il profumo del tempo - Byung-Chul Han

Il tempo ha perso la durata. Quello che assicurava consistenza al tempo – che lo strutturava e lo raccoglieva in unità di senso - si è frantumato, scheggiato irrimediabilmente. Viviamo, per il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han, sotto l’impero dell’istantaneo. Il tessuto del tempo si è come sgranato: ogni frammento, ogni scheggia, ogni unità, ogni attimo, ogni atomo che lo costituisce si è staccato dagli altri, si è isolato, si è chiuso in se stesso per stagliarsi come un qualcosa di aguzzo, si è slegato da ciò che lo precede, incapace di creare un ponte verso ciò che seguirà. È scomparsa, insomma, la trama. “Il presente – scrive Byung-Chul Han - si riduce alla punta visibile dell’attualità”. E ancora: “La crescente discontinuità, l’atomizzazione del tempo, distrugge l’esperienza della continuità. In questo modo il mondo stesso diventa intempestivo”.


Sono due le grandi narrazione che hanno catturato il tempo. La prima insiste sul cerchio, la seconda sulla linea. La prima si nutre della ripetizione, del ritorno dell’uguale. La seconda ha la forma della freccia, “della linea che si affretta o corre verso la meta”. La prima dice il ciclo, nel quale la fine coincide con l’inizio. Il secondo testimonia il progresso, nel quale il prima è intimamente legato al dopo e il dopo sarebbe inspiegabile senza il prima. Ebbene, secondo il filosofo coreano, dopo la scomparsa del tempo ciclico, anche il tempo storico si è eclissato, consumato. E’ caduta la tensione narrativa che lo animava. La linea non corre più verso un traguardo, non lega un prima a un dopo, si è “frammentata in punti che si agitano senza direzione”. “La storia lascia il posto alle informazioni. L’informazione presenta un nuovo paradigma, in essa è insita una temporalità completamente diversa. È infatti una manifestazione del tempo atomizzato, ossia del tempo puntuale”.

Se il tempo è diventato intempestivo, se si è rotto ciò che lo ancorava al senso, è mutato anche il rapporto che abbiamo con le cose. Anche qui, secondo Byung-Chul Han, il processo è irreversibile. È scomparsa la theoria, si è estinta la vita contemplativa, si è smarrita la possibilità di dimorare presso la verità/eterno. E con esse, si è persa l’arte di indugiare sulle cose. Se per l’antichità il pensiero era ciò che si attivava una volta liberatisi dalla necessità (e dal lavoro), se esso si distendeva nel tempo liberato dall’urgenza della nuda vita, oggi il tempo è stato integralmente requisito dal lavoro. “Il lavoro si autonomizza quale fine in sé e si pone assoluto”. Il tempo oggi è ciò che residua dal lavoro. Le cose, a loro volta, perdono la durata, scalzate dal nuovo che la produzione im-pone in nome del consumo. Le cose hanno perso il loro spessore, la loro stratificazione temporale. Non si indugia più presso le cose perché le cose semplicemente non ci sono più.

 

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